Quanto avrà faticato Maria ai piedi di quella croce? Quanto avrà sopportato di quella condanna ingiusta? Come avrà fatto a “rimanere”, a vivere con pienezza il suo “stabat”? Quali VIRTU’ l’avranno sostenuta che possiamo fare nostre? Ci accompagna in questa ricerca – per l’ultima volta – il libretto di Mons. Derio Olivero, il Vescovo di Pinerolo, che con le sue “parole” sulla pandemia ha fatto da riferimento per il percorso del nostro Faro. La prima Virtù di Maria è stata sicuramente la fermezza! Il suo rimanere “salda” e “centrata” nel progetto di Dio! Scrive: “Dobbiamo ammettere che la nostra capacità di sopportazione si è davvero abbassata e soprattutto l’ascolto del dolore del mondo si è ormai “anestetizzato”! Fatichiamo a sopportare i difetti degli altri, fatichiamo a tollerare gli sbagli, fatichiamo a sopportare chi ci sta antipatico, chi la pensa in modo diverso, chi ci critica, chi invade i nostri spazi. Non tolleriamo che l’altro sia diverso da come noi vorremmo. Fatichiamo ad accettare che l’altro non sia all’altezza delle nostre attese (o pretese)”. Dobbiamo imparare davvero da Maria perché l’unico modo per non zittire il dolore e il grido dell’ingiustizia del mondo è “rimanere centrati”, saldi in Dio che ama e sostiene. Papa Francesco ci ricorda che: “solo a partire da questa fermezza interiore è possibile sopportare, sostenere le contrarietà, le vicissitudini della vita, e anche le aggressioni degli altri, le loro infedeltà e i loro difetti: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31). Sulla base di questa “solidità interiore”, la nostra testimonianza, in questo mondo accelerato, volubile e aggressivo, deve essere fatta di pazienza e costanza nel bene. É la fedeltà della logica dell’amore, perché chi si appoggia su Dio può anche essere “fedele” davanti ai fratelli, nella certezza che non li abbandona nei momenti difficili, non si lascia trascinare dall’ansietà e rimane accanto agli altri anche quando questo non gli procura soddisfazioni immediate.
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San Paolo invitava i cristiani di Roma a non rendere «a nessuno male per male» (Rm 12,17), a non voler farsi giustizia da sé stessi (cfr v. 19) e a non lasciarsi vincere dal male, ma a vincere il male con il bene (cfr v. 21). Questo atteggiamento non è segno di debolezza ma della vera forza, perché Dio stesso «è lento all’ira, ma grande nell’Amore» (Na 1,3)”. (da Gaudete et exultate n. 112-113) La seconda virtù di Maria che possiamo imitare ed invocare è la mitezza. Cita ancora Papa Francesco: “La fermezza interiore, che è opera della grazia, ci preserva dal lasciarci trascinare dalla violenza che invade la vita sociale, perché la grazia smorza la vanità e rende possibile la mitezza del cuore. Il credente non spreca le sue energie lamentandosi degli errori altrui, è capace di fare silenzio davanti ai difetti dei fratelli ed evita la violenza verbale che distrugge e maltratta, perché non si ritiene degno di essere duro con gli altri, ma piuttosto li considera ‘superiori a se stesso’ (Fil 2,3)”. Lo sguardo cristiano – come quello di Maria - non ci fa guardare dall’alto in basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni. Questa è una sottile forma di violenza. San Giovanni della Croce proponeva un’altra cosa: “Sii più inclinato a essere ammaestrato da tutti che a volere ammaestrare chi è inferiore a te”. (da Gaudete et exultate n. 116-117) C’è una terza virtù che riconcilia con la vita, di cui abbiamo bisogno dopo tanta angoscia. E’ la virtù della gioia, quella che fa cantare a Maria – ed anche ai Santi – il suo “Magnificat”! Ci ricorda ancora Papa Francesco: “credere non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è ‘gioia nello Spirito Santo’ (Rm 14,17), perché “all’amore di carità segue necessariamente la gioia. Poiché chi ama gode sempre dell’unione con l’amato [...] Per cui alla carità segue la gioia. Abbiamo ricevuto la bellezza della sua Parola e la accogliamo ‘in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo’ (1Ts. 1,6). Se lasciamo che il Signore ci faccia uscire dal nostro guscio e ci cambi la vita, allora potremo realizzare ciò che chiedeva san Paolo: “Siate sempre lieti nel Signore, velo ripeto siate lieti” (Fil 4,4).
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Maria, che ha saputo scoprire la novità portata da Gesù, cantava: «Il mio spirito esulta» (Lc 1,47) e Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Quando Lui passava, «la folla intera esultava» (Lc 13,17). Dopo la sua risurrezione, dove giungevano i discepoli si riscontrava «una grande gioia» (At 8,8). A noi Gesù dà una sicurezza: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. […] Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,20.22). «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). 125. Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che «si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto». E’ una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani”. Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro, in san Vincenzo de Paoli o in san Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità! È così tanto quello che riceviamo dal Signore che a volte la tristezza è legata all’ingratitudine, con lo stare talmente chiusi in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio!” (da Gaudete et exultate n. 122-126) Conclude così Mons Derio: “La gioia non è qualcosa che si compra al mercato. È un “dono” di Gesù ai suoi discepoli. Per essere un regalo per gli altri dobbiamo cercare di essere gioiosi, di buon umore, positivi. La nostra gioia, il nostro buon umore facilita la relazione, crea uno spazio positivo in cui far entrare l’altro. Il nostro compito è quello di essere sale e luce per chi ci incontra. Per costruire una relazione dobbiamo lavorare per portare all’altro qualcosa di gustoso, di bello, un volto gioioso, uno spirito positivo. Sarebbe bello se si potesse dire di noi cristiani: “Chi sono i cristiani? Quelli della gioia”. Amo ripetere una frase riferita a Martin Lutero: “Sono vivo; Dio esiste; mi stupirei di essere triste”. Per me è vero soprattutto dopo l’esperienza vissuta all’ospedale: sono vivo, mentre potrei essere morto da mesi; mi sono accorto che Dio non solo esiste, ma lavora e lavora per me; pertanto, fondandomi su queste certezze non posso essere triste”. E noi? Abbiamo già “scoperto” che Dio è all’opera nel mondo e lavora … soprattutto per noi? Senza questa scoperta difficilmente canteremo il nostro “magnificat”… l’unico canto che il mondo ama ancora sentire! Aiutaci, o Maria! |