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LO RICONOBBERO
La fede e l’annuncio

Non dobbiamo mai dimenticare che la
fede è dono e mai capacità, attitudine,
prestazione, sforzo, impegno.
La fede ci inquieta perché rientra nella
categoria della gratuità, del dono. Ci
piacerebbe conquistare la fede, comprare la fede, meritare la fede. Invece
essa giunge come dono gratuito slegata
da tutte quelle logiche mondane che
ricamiamo intorno a essa.
Noi adulti abbiamo paura della fede
perché le cose, per gestirle, abbiamo
bisogno di prevenirle, di immaginarle.
I discepoli di Emmaus riconoscono Cristo «nello spezzare il pane». Spezzare è
un verbo divisivo, distruttivo. Per rivelarsi a noi Cristo deve “spezzare” frantumare ciò che c’è, aprire una crepa lì
dove tutto è sano e chiuso. Il pane non
lo si mangia se non spezzandolo.
Cristo trasforma questa distruzione in rivelazione. Egli riempie di un fine ciò che per
noi è solo la fine.
Mi piace pensare che «lo riconobbero nello spezzare il pane», perché comprendono
che quello che sta accadendo davanti ai loro occhi li riguarda, riguarda ciò che è accaduto loro. In fondo, se l’Eucarestia che celebriamo non risveglia in noi la consapevolezza che quel rito non è un gesto esterno, ma esattamente il cuore stesso di ciascuno di noi, allora Gesù è ancora un’informazione, ma non un cibo che sazia.
E se scompare dalla loro vista non è perché hanno perso la fede, ma esattamente
perché l'hanno appena ricevuta. È chi non ha fede che ha bisogno di vedere. Ma chi
ha fede non ha bisogno di vedere perché sa, conosce, ha ricevuto quella porzione di
certezza che nutre, prima ancora di rassicurare.
«Io sono il pane della vita chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete mai».
E qui sono racchiuse due cose fondamentali:
la prima è che il rapporto con Cristo non produce cambiamenti in termini di fortuna,
come tante volte paganamente pensiamo, il rapporto con Cristo produce dentro di noi
unità e una pace che sono il presupposto di ogni vera vittoria, di ogni vero, sostanziale
e non effimero successo.
La seconda cosa è che questo discorso di Gesù non è solo simbolico. Egli sta parlando
anche di un pane concreto che è l'Eucarestia. Ancora troppo spesso decidiamo digiuni
eucaristici pensando di rendere onore a Dio e ai nostri “peccati”, condannandoci così a
non capire e a non usufruire per niente del cristianesimo.
Dobbiamo avere il coraggio di frequentare l’Eucarestia senza sosta, senza salti, senza
pause, e proprio per questo dobbiamo avere il coraggio di fare fuori tutto ciò che ci
tiene lontani da essa, senza aspettare, senza ripensamenti, senza lunghe diagnosi che
ci portano alla morte e non alla vita.
Qualcuno ci ha insegnato che il progresso vero sia andare avanti.
Tornare indietro sembra il premio degli sconfitti. Non funziona così nel Vangelo.
Se la mia esperienza di fede non investe innanzitutto il mio passato allora è solo una
fuga e un nascondimento da ciò che eravamo e da ciò che ci è capitato. Se l'onda del
Risorto non ci fa tornare indietro sui nostri passi, allora Cristo è solo un alibi, non una
salvezza.
Ma cosa significa tornare indietro? Fondamentalmente perdonare.
Ma perdonare cosa? La nostra storia passata.
E perdonare non significa aggiustare o risolvere, ma non lasciare più che tutto ciò che è
stato produca in noi morte e tristezza, rancore e rabbia, rassegnazione e depressione.
Perdonare è imparare a soffrire senza che quella sofferenza marcisca in noi.
C'è una benedizione che può sgorgare dalle nostre labbra anche quando soffriamo per
qualcosa.
La benedizione è imparare a vedere tutte quelle tracce di bene nascoste nella nostra
cronaca.
Chi ha incontrato il Risorto deve imparare a volersi bene. E volersi bene è dire la verità
su se stessi senza paura, e con tenerezza infinita.
Non c’è più notte che tenga quando s'incontra il Risorto.