VENERDI’ - il perdono di Cristo sulla croce
Dal Vangelo di Luca
32Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.33Quando
giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.
34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo
le sue vesti, le tirarono a sorte.35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo:
"Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". 36Anche i soldati lo deridevano,
gli si accostavano per porgergli dell'aceto 37e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva
te stesso". 38Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei". 39Uno dei malfattori
appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". 40L'altro invece
lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?
41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece
non ha fatto nulla di male". 42E disse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno".
43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso". (Lc 23, 32-43)
32Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.
Nel nostro percorso di contemplazione del mistero della Pasqua entriamo dentro quello che è uno dei passaggi più drammatici, ovviamente, ma anche quelli che, nel triduo santo, viviamo con più intensità. Perché vi sentiamo li interpretati tanti misteri di dolore, tante situazioni drammatiche, tante circostanze di sofferenza della nostra vita. E il mistero della croce sentiamo che ha qualcosa da dirci a questo riguardo. Ha qualcosa da dirci dei nostri fallimenti, dei nostri patimenti delle nostre sconfitte. Ma anche da dirci molto sul dolore innocente sul dolore inflitto sul dolore patito.
E poiché sentiamo che ha questa capacità interpretativa, che proprio per questo passaggio stretto della sua vita Gesù davvero si è avvicinato alla nostra esperienza nel modo più radicale possibile. Allora lo viviamo anche, per quanto drammatico sia, con tanto affetto con tanto sentimento, con tanta buona devozione.
Ma anche questa tappa della settimana santa occorre che la viviamo, certamente con sentimenti di adorazione e affetto, ma innanzitutto con uno sguardo contemplativo: ci mettiamo davanti al mistero di Dio, che qui sulla croce è mistero più che mai . Perché non c'è rappresentazione più paradossale di un Dio di quella che vediamo in Gesù crocifisso.
Si, dobbiamo pronunciare delle parole per narrare questo mistero, ma lo facciamo non con lo scopo di volerlo esaurire, con la presunzione di spiegarlo, ma piuttosto col tremore e quel timore
di chi si avvicina davanti a qualcosa che un po' intuisce, davanti al quale sente di manifestare o stupore, come un abisso di bellezza, di ricchezza, sul quale ci si sporge senza però mai vederne il fondo, senza riuscire mai a coglierne tutti i dettagli.
Allora entriamo così dentro questo racconto di Luca, al quale, per chi legge il suo vangelo, lui conduce attraverso un lungo percorso che lui sceglie di costruire come un cammino vero e proprio.
Una larga parte del vangelo di Luca, dalla fine del capitolo 9 fino all'arrivo di Gesù a Gerusalemme, è costruito e descritto come un viaggio: Gesù viaggia verso Gerusalemme. Non si tratta di un viaggio geografico; se lo dovessimo seguire vedremmo Gesù andare su e giù per il territorio. Ma si tratta di un viaggio teologico. Gesù sta camminando verso qualcosa che non è una meta fisica, ma di altro genere, una meta certamente spirituale; il compimento un po' della sua missione , ma anche una meta teologica: Gerusalemme rappresenta il momento in cui Gesù arriverà a dire la parola più importante sul Padre suo.
Perché per Luca Gesù è innanzitutto un profeta, nel senso più intenso dell'espressione, un testimone, uno che parla di Dio, uno che fa un discorso su Dio, uno che pone dei gesti che siano eloquenti rispetto al volto di Dio.
Luca gli fa cominciare questa missione da profeta nella sinagoga del suo paese natale Nazareth. Li Gesù in giorno di sabato prende in mano il rotolo del profeta Isaia e legge questo passo, nel quale non teme di identificarsi anzi osa a identificarsi apertamente: “Lo Spirito del Signore è sopra di me e mi ha consacrato con l'unzione, perché io porti il lito annunzio ai poveri, porti la liberazione ai prigionieri, doni la vista ai ciechi, proclami l'anno di grazia del Signore”.
E da li in avanti Gesù avvia la sua carriera profetica, facendo seguire a quel testo di Isaia altri discorsi suoi propri, gesti, parole e opere che raccontano il volto di un Dio estremamente attento a chi sta vivendo condizioni di marginalità e di povertà, di sofferenza: i peccatori gli emarginati, i malati, gli indemoniati. Gesù racconta il volto di un Dio che si fa vicino a questi, che per loro ha un annuncio buono, una parola di riscatto, di rinascita, di ripartenza, di vita nuova. Si fa vicino materialmente ai bisogni delle persone, moltiplicando i pani, liberando dal male, offre speranza.
E però, mentre fa questo, si rende conto che l'amore di Dio non è amato. O meglio sì, i poveri sono consolati, i poveri accolgono volentieri come annuncio buono la sua parola e le sue opere. Ma c'è una fetta del popolo, una parte importante che resiste, che non si lascia affascinare dall'amore di Dio. Gesù trova ostacoli; si trova ostacolato; vede che l'amore di Dio non trova una strada spianata in Israele, ma è costretto a percorrere una via accidentata, come con ostacoli e mille resistenze.
E di fronte a questo Gesù si interroga: come affrontare tutto questo? Come reagisco alla resistenza? A coloro che stanno già tramando alle mie spalle e che stanno già pensando a come eliminarmi come rispondo? Che armi utilizzerò? Sono pronto a combattere questa battaglia? Se sì, in che modo. E Gesù decide che questo scontro, che questa battaglia è essa stessa occasione per mostrare il volto del Padre suo. La circostanza del contrasto e della ostilità, non è una occasione per ritirarsi, per fare un passo indietro, per dire: “No, allora non ve lo meritate! Io continuo a rivelarvi il volto del Padre mio, a condizione che la accoglienza sia reale, che i frutti si vedano, che ci sia un riscontro. Io vado avanti a raccontarvi il volto del Padre mio, ammesso che
voi mostriate in qualche modo di meritarvelo!”
No, Gesù non fa tutto questo. Lui compie una scelta più radicale ancora. Se il volto del Padre suo è il volto di un Padre misericordioso, paziente, fedele, buono, attento, provvidente, allora questa situazione di resistenza e di durezza può diventare opportunità. Perché quelli che respingono il bene del Padre suo, sono i malati che più hanno bisogno della sua cura, sono quelli che stanno patendo la sofferenza maggiore, che hanno bisogno della terapia più radicale, della medicina più forte. A chi altri, se non proprio a questi, va dimostrato come è fatto l'amore di Dio? Perché se si ama quelli che ci amano, che cosa facciamo di straordinario, non fanno così anche i pagani?
Allora Gesù decide di andare verso Gerusalemme. Alla fine del capitolo 9 decide fermamente di rivolgersi verso Gerusalemme, cioè di andare nella tana del lupo.
Se devo essere profeta del Padre mio misericordioso, devo andare là dove ci sono i meno amabili di tutti. E questi non sono i peccatori pubblici, non sono le prostitute, non i lebbrosi, non sono gli indemoniati. Il meno amabile di tutti è il nemico.
Ma come si fa ad amare uno che ti vuol togliere la vita? Come posso pensare di dedicarmi anima e corpo, di mettere a rischio il mio futuro, tutto me stesso, la mia storia, la mia reputazione per quelli che di tutto questo che io sono, non se ne fanno nulla, lo considerano un rifiuto, uno scarto, un impedimento, un impiccio, un problema da eliminare? Come faccio ad amare questi? Ma se non amo questi chi amo? Ma se non lo dimostro proprio a questi che l'animo del Padre mio è molto più ampio, più profondo, più alto di tutti i loro traffici, di tutte le loro malizie, di tutta la loro malvagità, di tutta la loro incredulità, di tutta la loro durezza di cuore! Se una parola d'amore scenderà anche su costoro, quali limiti potrà mai più avere la salvezza che viene da Dio?
Così Gesù cammina verso Gerusalemme e cammina, insegna, agisce, fa il profeta e continua ad usare le armi che sono del Padre suo. Ci va come un agnello, nella mitezza, nella pazienza, nella bontà; con l'intenzione di andare a cercare la pecora smarrita; con le braccia aperte, come un padre che attende che i figli ritornino; come quella donna che va in cerca della dracma perduta.
Fa il profeta: racconta, insegna, agisce e chiede a chi cammina con lui, se vogliono percorrere la stessa strada, di essere profeti allo stesso modo, di raccontare lo stesso Dio, di mostrarne lo stesso volto. E il suo cammino finisce qui sulla croce. Questo cammino profetico arriva sul suo ultimo palcoscenico. E il suo posto, la sua fine è dove sta inchiodato.
Lui l'aveva preannunciato: guardate che non sarà un lieto fine; o meglio sarà sì un lieto fine, ma le cose non andranno come vi aspettate: mi prenderanno, mi colpiranno, mi insulteranno, mi metteranno a morte; poi risusciterò ma...
E i discepoli annusano l'aria anche loro e capiscono che non finiva bene. Salgono a Gerusalemme insieme a Gesù, ma pronti alla battaglia, pronti a sguainare la spada e fare la fine eroica. Perché dar la vita da eroe beh .. ma dar via la vita così!
Gesù sulla croce, come un malfattore
Gesù finisce qui sulla croce. Qual'è il suo posto, l'ultimo posto che Lui occupa?
Aveva detto che era venuto non per essere servito, ma per servire. In effetti finisce lì proprio all'ultimo posto. E Luca, non si capisce bene se lo fa per una goffaggine narrativa, ma è difficile, alla fine lo tratta come uno dei malfattori. “Insieme con lui venivano condotti a morte altri due”, come a dire che lui è il primo poi ci sono gli altri due. Se a Luca scappa via questo, ma vien da pensare che non sia proprio così, in fondo il suo cammino aveva quella direzione: Gesù va a prendere posto tra i malfattori; va a prendere la sua dimora in mezzo ai suoi nemici e su di quelli vuole stendere il velo della misericordia di Dio. Non su chi se l'è meritato quel perdono; ma su coloro che di quel perdono sembrano non volersene fare nulla.
Gesù finisce tra i malfattori ma al pari di loro; e questi non sono ladri. Non si tratta di due «ladri» o «briganti» (λῃστής), termine applicato ai ribelli ostili alla dominazione romana, bensì di «malfattori» (κακούργους) letteralmente «coloro che operano il male, che lavorano per il male»
Potremmo dire dei malvagi, ma incalliti. Non è gente che ha rubato qualcosa al mercato. Questa è gente che ha la carriera, che ha fatto una vita. Alla fine uno dei due lo dirà: ce lo siamo meritato, abbiamo fatto una vita che !!! Era gente che lavora per il male. Capite che portata ha il dire che Gesù è un malfattore?
Ma che il giusto muoia con l'empio è il fallimento della giustizia terrena: come può Gesù morire con gli empi? Come si può scambiare l'innocente per un malfattore?. Come si può sapere di uccidere un innocente e farlo? La sua innocenza era talmente evidente; non c'è bisogno che ci sia il ladro, cosiddetto buono, a celebrarla. Qui c'è il fallimento di tutta l giustizia terrena, tutto il suo limite.
Ma c'è anche il fallimento di un certo modo di pensare la giustizia divina. Un modo di pensarla che è troppo corrispondente al nostro modo di pensarla la giustizia, che spesso sconfina nel voler far vendetta, nel voler soddisfazione del male subito. Quel pensare la giustizia che si insinua dentro il godere del male che capita al malvagio, o quello che ci sta antipatico, basta quello. Se per caso abbiamo il vicino che ha un cane che abbaia tutte le notti, quando muore il cane siamo contenti. Giustizia è stata fatta.
E qualche volta proiettiamo su Dio queste piccinerie della nostra giustizia, che è solo vendicativa; e osiamo chiedere a Dio, tentandolo, di manifestare così la sua giustizia: ma perché non fai capitare qualche volta del male proprio a quelli che il male lo fanno?
E qui sulla croce vediamo anche inchiodati i fallimenti delle nostre giustizie presuntuose, quelle con le quali pensiamo di saper dividere il mondo tra buoni e cattivi e tra giusti e ingiusti; quelle con le quali pensiamo di poter risolvere con facilità le situazioni: “So io come è andata; ho capito io come ha funzionata lì la questione!!!”
Qui però se c'è un Dio che finisce in mezzo ai malfattori, vuol dire che c'è l'evidenza di un altra giustizia. Quella che stabilisce il diritto, ma non facendo perire, nemmeno l'empio. Perché sul quel calvario vediamo accadere questa giustizia. Perché sull'empio che sta uccidendo il figlio di Dio, non scende la mannaia della punizione divina; scende altro! Allora si sgretola il Dio vendicativo lì; va in pezzi l'immagine di quel Dio permaloso, umorale, che va tenuto buono.
La giustizia del Dio di Gesù Cristo
Una giustizia che quando si traduce in atto, quando opera, non causa mai la morte di nessuno, ma è sempre una salvaguardia di chiunque e comunque; anche del peggiore dei malvagi.
Attenzione, però, a non fare di quell'essere Gesù tra i malfattori, una recita una sceneggiata: “Sì va beh, Gesù ha recitato un po' la parte, ha giocato il ruolo”. No, non possiamo fare questo, perché Gesù aveva ben presente dove stava finendo; Gesù sapeva tra chi sarebbe finito; e quel che gli capita non è un caso, ma è una volontà.
Se vogliamo rispettare il criterio della incarnazione, dobbiamo vedere questo Gesù, che è stato in mezzo ai malfattori, lo stesso Gesù che è stato in fila tra i peccatori che chiedono il battesimo al Battista. E questa solidarietà profonda e questa familiarità con il malfattore, non è una recita; è il modo di essere di Dio, che lì viene raccontato.
Questo è il Dio meno Dio che si potesse pensare. È sconcertante! Qui sembra che Gesù si costruisca un altro tempio, capite, che non è più il recinto sacro, quello del Dio incontaminato, quello che vuole che ti metta il disinfettante gel sulle mani prima di toccarlo (ne stiamo diventando esperti), mica che lo contagi. Non è più quel Dio lì, ammesso che sia mai esistito. Non è più il Dio che vuole i puri e soltanto i puri; non è più il Dio che è un po' pigro nella sua benevolenza: “Ma sì io mi scomodo a farti qualcosa, però se tu ti dimostri all'altezza, con le tue opere, le tue preghiere, le tue devozioni, con le tue implorazioni, coi tuoi sacrifici,qualunque forma essi abbiano”. Qui sembra che il tempio di Dio, il recinto sacro, sia fatto da due umanità pervertite, che hanno perso la strada, che hanno scelto per tanto e a lungo il male. Incredibile!!!
Attenzione però a non vedere ancora in questo Gesù innocente, ma colpito e che fa la fine del maledetto, l'invito a tutti gli innocenti a sopportare pazientemente le disgrazie, il male che possono subire, perché tanto poi avrete vendetta perché poi tanto Dio nell'altra vita !!!. Non c'è nulla di questo sul calvario, non c'è nessun invito agli innocenti colpiti a star buoni, a non lamentarsi, non c'è nulla di questo. C'è altro: c'è un Dio che non teme di passare per malfattore, condividere la sorte del malfattore. È tutt'altra cosa. E non si può prendere la croce per giustificare certe pretese di sopportazione di patimento, con le quali tante volte riempiamo le nostre devozioni. Che Dio sarebbe un Dio che pretende che l'innocente faccia tacere i suoi diritti, perché tanto poi avrà dei privilegi nell'altra vita?
No, non c'è nulla di questo, c'è altro: c'è un Dio che scappa da quel recinto sacro e ne costruisce un altro con due colonne: quelle portanti, fatte da due malfattori. Fuori città, respinto, isolato, visto come un elemento di contaminazione!
E qui Luca allestisce la crocifissione che liquida con due parole, non concede nulla allo spettacolo.
Questa assenza di Luca a ricorrere al dolorismo, forse qualche lezione ce la dà; anche rispetto a certe nostre retoriche sul dolore, sull'importanza del dolore che ancora oggi si sentono; e che non trovano alcuna giustificazione nelle narrazioni evangeliche. Qui non c'è nessun elogio del dolore, non c'è nessun invito a soffrire per offrire a Dio. Non c'è nessuna traccia di questo. C'è altro. E cos'altro c'è? C'è questa parola. Che non pronuncia una volta sola!
Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Il perdono di Dio
Luca declina questo verbo, diceva, in una maniera particolare dandogli il senso di qualcosa che continua interrottamente. Dovremmo tradurre così: Gesù «continuava a ripetere incessantemente "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno"», come una litania, ripetuta senza sosta. Non è l’esclamazione di un momento, ma l’emergere di un atteggiamento interiore stabile, che Gesù ripropone senza sosta. È un habitus vero e proprio. Come qualcosa che Gesù masticava continuamente e non solo sul calvario.
E fa scendere il suo perdono con questa scusa di ignoranza. Gli esegeti dicono che qui c'è una traccia o un residuo forse del pensiero, sopratutto di Pietro dentro la comunità apostolica che negli Atti degli apostoli ritorna. Che attribuisce proprio questa inconsapevolezza agli uccisori (discorso di Pietro dopo la pentecoste).
E Gesù dice proprio così: che non sono consapevoli, non colgono la portata del gesto, non riescono a percepirne il senso. È come se Gesù dicesse: ma non vedono davvero quello che stanno facendo; pensano di fare una cosa, ma ne stanno facendo un'altra. Se vedessero, certo non lo farebbero – sembra dire Gesù – ma non vedono, sono ciechi, sono accecati; c'è qualcosa sui loro occhi che gli impedisce di rendersi conto di cosa stanno compiendo davvero; non sanno quali sono le conseguenze di questo gesto; quale è la portata delle loro azioni e della parole.
Così chiede al Padre suo di condonare, una qui la stessa espressione di quando insegna il Padre nostro: rimetti a noi i nostri debiti, così che anche noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Chiede letteralmente di rimettere un debito. E questa è una richiesta di liberazione! Il debito è un vincolo, una catena, un legame; qualcosa con cui puoi tenere per il collo l'altro e poi fargli fare quello che vuoi, perché è in debito con te. Se l'altro è in debito con me vuol dire che io ho una predominanza, posso disporre di lui almeno fino a quando non ha saldato il debito. È una forma di potere, di dominio dell'altro. Tu sei nella posizione di poterlo manipolare; è una privazione della libertà. Ed è sconcertante quello che Gesù fa con questi uomini: questi, che dimostrano di non vedere, di essere inconsapevoli, incapaci di penetrare la profondità delle cose che stanno compiendo, Gesù li rimette in libertà.
Ma no, Gesù, a questi va messa la camicia di forza, altro che debito da rimettere; questi van legati con il lucchetto e buttata via la chiave. Cosa li rimetti in libertà Gesù?!? Questi devi mettergli le briglie e governarli tu, portarli tu sulle strade giuste, ma non vedi?!!'?
Gesù chiede al Padre di lasciarli andare; volendo la espressione letterale sarebbe questa: lasciali andare; non considerarli vincolati, non farli sentire in dovere di.
Il perdono di Dio è la rimessa in libertà di chi si meriterebbe invece di non averne più di quella libertà. Ecco che cosa è il perdono di Dio! La volontà di Gesù è che questi siano sciolti dal dovere di rimediare.
Adesso voi mettete tante nostre pratiche penitenziali sotto la lente di questo annuncio. E ditemi se noi invece non raccontiamo un altro Dio, che concede il suo perdono a patto che tu rimedi al male fatto. O quantomeno che dimostri nelle intenzioni di volerlo fare e dunque di meritartelo quel perdono. Ma questo è il Dio che tiene al guinzaglio, e che ti rinfaccia il debito che hai nei suoi confronti; e che dice: tu sei in debito con me? O fai queste cose e metti a posto il pasticcio che hai fatto per favore, altrimenti del mio perdono non se ne parla.
Ma non è questo il perdono che è annunciato sulla croce; è altra la misericordia di Dio.
È certo che la misericordia di Dio desidera profondamente che tu metta rimedio al male fatto, ma per te e per quelli che sono stati feriti. Ma mica per aver una soddisfazione di che? Di essermi preso una rivincita su di te? E questo sarebbe un Padre? Un Dio che si prende le rivincite sui peccatori?
Certo che in certi racconti che in questi giorni (del coronavirus) veramente drammatici stiamo vivendo, certe uscite su come sarebbe Dio.. cosa centra con Dio tutto questo? Fanno pensare. Questo Dio che manda dei dolori, perché la gente capisca che deve cambiare vita. Con questo Dio che sarebbe pronto a intervenire a risolvere il male che stiamo vivendo, ma solo se si fa un numero sufficiente di preghiere, di penitenze, sacrifici, digiuni...
Ditemi cosa può c'entrare un Dio raccontato così, con questo evento meraviglioso che stiamo commentando. Cosa c'entra questo Dio che stiamo raccontando, che ha come obiettivo solo quello di liberare, di dare vita, che non si accanisce neanche sull'empio, che non chiede il prezzo del male fatto.. Cosa c'entra con queste altre narrazioni? Devo continuare a pensare che quel Dio lì c'entri con questo del vangelo? No, non c'entra nulla. È un altro Dio. Il Dio della benevolenza indolente che deve essere scossa a furia di novene e di rosari, non può essere il Dio di Gesù Cristo. È un'altra cosa. Ben vengano le preghiere a questo Dio, ma per confessarlo così, per
consegnarsi integralmente alla sua benevolenza. Esattamente come fa quel malfattore, che tra i tanti ciechi è l'unico che vede e si getta a capofitto tra le braccia di quel Dio.
Il malfattore che chiama Gesù per nome
Gli altri ancora non vedono e sotto la croce gridano la loro cecità: “Salva te stesso, salva te stesso e noi, salva te stesso. Tre volte risuona questa tentazione, che tocca Gesù proprio nella sua matrice più limpida della sua identità: quella dell'essere per l'altro, non per sé.
È difficile non vedere in questa triplice provocazione, in questa triplice bestemmia, perché di questo si tratta, un richiamo a quello che lui ha vissuto nel deserto, che Luca racconta come un'intensa esperienza spirituale. Gesù entra nel deserto, immerso nello spirito (fu spinto dallo Spirito) e vive una esperienza in cui Gesù viene portato all'estremo della tentazione. Compiuta ogni tentazione poi il diavolo lo abbandona per tornare al suo tempo. Quale è il tempo del tentatore, qual il tempo del satana? Eccolo qui il tempo. Eccola l'occasione buona.
E c'è una immagine precisa di Dio dietro quel “salva te stesso”! Perché il potente è così; prima si mette in salvo e poi... È un' immagine precisa di Dio, estremamente idolatrica, proprio perché estremamente somigliante alle logiche meramente umane. Il Dio schiavo dell'istinto di sopravvivenza. Ma sulla croce c'è di più: è il Dio che è la vita.
Il silenzio in cui cadono questi insulti è di una bellezza straordinaria. Come se Gesù dicesse :”Io non ho neanche le parole per rispondere; i vostri son discorsi che non mi arrivano, non mi toccano. Pensate di provocarmi così? Non spreco parole per voi... Ecco come si spegne il male; è nel silenzio che si spegne il male; non in una voce che grida più forte.. aizzandolo ulteriormente il male; si spegne nel silenzio. L'unica parola è: Padre perdona. Non c'è bisogno di dire altro.
Ma mentre questi sono ciechi, appunto ce n'è uno che ci vede e ci vede benissimo. Ed è un malfattore che ci vede; ma non solo ci vede, questo ci vede e sa pure e chiama Gesù per nome. Come fanno i lebbrosi nel vangelo di Luca, come fanno gli indemoniati, come fa il cieco, come fanno i maledetti da Dio, agli occhi degli altri. Questi sono quelli che chiamano Dio per nome.
E il malfattore chiama Gesù per nome in modo intimo. La richiesta che il malfattore fa, fa da eco alla litania di Gesù; perché Luca anche di questo malfattore dice che ripeteva in continuazione. Continuava a ripetere “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Che dunque sembra essere un po' di più di un tentativo: “Cià vediamo se mi va bene, se me la cavo!?!..” C'è molto di più, c'è una consegna profonda, un affidamento radicale.
E però quello che fa nondimeno è una richiesta totalmente inopportuna, contro ogni logica, che ci urta ci infastidisce. E dobbiamo riconoscerlo che ci infastidisce, perché distrugge ogni logica di merito. Questo è l'ultimo che deve entrare in paradiso; e invece lui è il primo. Ma si può che il primo che entra in paradiso è uno che ha passato tutta la vita a fare il male? Non è urtante questo? Qui si scardina ogni criterio di merito. La meritocrazia non è evangelica per niente. E non ci si sogni di trasformare questa supplica, questo affidamento, in un motivo di merito. Qui il ladro non conquista il paradiso; fa qualcos'altro: prende la propria vita e la mette nelle mano di Gesù, riconoscendone la regalità.
39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!".
40 L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato
alla stessa pena? 41 Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". 42 E disse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".
È come se il malfattore dicesse: “ Senti Gesù questa è la mia vita, fanne tu ciò che vuoi!”
È chiaro che è una domanda di salvezza. Ma questa è innanzitutto una consegna. Così come deve essere la consegna fiduciaria: non ti dico io come mi devi salvare. Non ho la pretesa di decidere io quale è la strada per quella salvezza. Non mi sogno di telecomandarti con le mie richieste, ma mi consegno. Forse è proprio vero, come diceva il cardinal Martini negli ultimi giorni della sua vita, che ad un affidamento così, si arriva proprio quando la vita la si sta perdendo. Forse è vero. Ma nondimeno la verità di queste parole è senz'altro questa: Gesù metto la mia vita nelle tue mani
fanne ciò che vuoi. Ho fiducia in quel che ne farai, perciò fanne ciò che vuoi !
E Gesù ne fa ciò che vuole. E ciò che vuole è limpido: oggi sarai con me nel paradiso. Eccola la volontà di Dio. Quando uno si chiede quale sarà la volontà di Dio sulla mia vita? La volontà di Dio è averti con sé, qui e per l'eternità. E quale altra volontà?!? Se Dio vuole vicino a sé un malfattore qui e nel suo regno eterno, chi può sentirsi lontano da Lui?
Eccolo qui il Gesù che compie la sua missione di Profeta.
Il suo racconto del volto di Dio si conclude temporaneamente qui. Poi sappiamo il giorno dopo ancora cosa capiterà. Ma il suo racconto in parole ed opere si conclude qui con un finale che è davvero bellissimo.