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Il silenzio del SABATO e le parabole del Regno

 

 

Dal Vangelo di Matteo

31 Espose loro un'altra parabola, dicendo: "Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami ". 33Disse loro un'altra parabola: "Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata". 44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. 45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

 

Il silenzio del sabato

 

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Il sabato è il giorno del silenzio, del vuoto della Parola. È il giorno della paura, della angoscia e della recriminazione. Sembra essere il giorno della sconfitta di Dio? O forse Dio opera in modo suo proprio, in un modo misterioso anche qui? Un Dio che percorre strade che non sappiamo nemmeno immaginare e delle quali a noi sfugge il senso?

II sabato è paragonabile al settimo giorno della creazione: e Dio si riposò. O forse dobbiamo intendere che ora lascia che la sua opera sia compiuta dalla sue creature, ma lui c'è.

Ecco le parabole ci parlano di un Dio all'opera, dicono del trasporto dell'amore di Dio per l'umanità;

Dio Padre è appassionato dell'umanità.

Il sabato è il giorno in cui vengono avanti più forti e incisive le domande su quale sia la qualità dell'agire di Dio, come agisce questo suo regnare sul mondo; l'esercizio della sua forza che caratteristiche ha?

Nel suo operare silenzioso fa sorgere queste domande; sono anche quelle che insorgono nelle circostanze della vita, nelle quali non abbiamo l'impressione di cogliere che cosa stia facendo il Signore.

E mente riflettevo su questo, mi sembrava opportuno richiamare quei passi di vangelo e sfruttarli per riflettere un po' su questo giorno particolare: il sabato. Sono quei brani del vangelo nei quali gli evangelisti osano proprio parlare di questo: dell'agire particolare di Dio nel mondo e nella storia.

Mi venivano in mente come brani efficaci e rappresentativi, quelli che chiamiamo le parabole del regno e che Matteo raccoglie tutte in un unico capitolo. E mi sembrava che ascoltare quelle parole, che in forma metaforica, con immagini, con simboli ci vogliono fare intuire e avvertire come funziona il Regno di Dio, fossero le parole giuste per rimanere nel Sabato Santo.

 

E dunque proviamo a stare davanti a queste parabole con la loro semplicità, ma anche con la loro profondità. Non è mai facile stare di fronte alle parabole; contrariamente a quello che si dice, non è vero che sono i brani più semplici del vangelo. Anzi spesso sono i brani più difficili da interpretare, perché usano dei codici simbolici che non ci sono familiari, usano delle immagini delle quali noi abbiamo perduto tutta la portata di significato, che, invece, al tempo di Gesù era facile cogliere.

 

 

Le parabole del regno

 

Queste parabole nel vangelo di Matteo sono collocate in un momento particolare del suo vangelo; siamo al capitolo 13, quindi il ministero pubblico di Gesù è iniziato ormai da tempo. Gesù ha già compiuto delle opere miracolose; ha già annunciato la prossimità del Regno di Dio; ha già chiamato i discepoli alla sequela; ha fatto il grande discorso della montagna. Poi ha inviato i discepoli in missione; sono ritornati. Ma sopratutto ha già incominciato ad incontrare le prime resistenze in Israele, non solo nei capi, ma anche nel popolo. Ha incominciato a scontrarsi con la durezza dei cuori di Israele.

Gesù si trova un po' spiazzato perché vede anche tanta resistenza. Ma di fronte a questa decide di reagire, di rispondere a suo modo, franco, schietto, aperto, ma che responsabilizza, che chiama l'altro a prendere posizione, a mettersi in gioco. Allora decide di mettere in gioco proprio questa incomunicabilità, questa difficoltà a farsi ascoltare, questo senso di distanza, questa difficoltà di ingranare la comunicazione con il popolo ed i suoi capi. E così usa un linguaggio criptico, difficile da decifrare, un linguaggio che chiede ai suoi interlocutori di porsi la domanda: ma che cosa sta dicendo? Ma di cosa ci sta parlando? Che senso hanno le cose che dice?

Ed è talmente vero che il linguaggio parabolico non era affatto semplice, che i discepoli stessi si trovano in difficoltà. E provocano Gesù su questo: “Ma maestro perché parli loro con parabole?”

Gesù risponde loro: beh a voi è dato di conoscere il mistero del regno dei cieli, a loro non è dato. Perché a colui che ha, sarà dato in abbondanza e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole. Perché guardano ma non vedono, perché odono e non ascoltano e non comprendono. Potremmo dire che lui dichiara questa incomunicabilità in modo plastico tangibile: non ci stiamo capendo.

E dunque sono parabole buone per un tempo di incomprensione, di resistenza di ostilità. E il giorno del Sabato Santo è proprio un tempo così. Nel quale sembra esserci l'incomunicabilità più totale tra Dio e il genere umano. Lui che fa silenzio e loro che l'hanno messo a tacere.

Quello del Sabato Santo è lo spazio adatto per ascoltare queste parabole che invece pur in un tempo di incomprensione, non rinunciano a narrare del mistero del Regno di Dio.

Ma che cosa è questo Regno di Dio? Prima ancora di entrare dentro le parabole che poi commenteremo, il Regno di Dio potremmo dirlo in modo estremamente semplice: è la paternità di Dio all'opera nel mondo, è il suo farsi Padre al servizio del pieno compimento della vita dei suoi figli; è il suo farsi presente in modo compassionevole misericordioso, provvidente, liberante , valorizzante, incentivante. Il cardinal Martini in una sua riflessione molto bella sul discorso della montagna di Matteo diceva così.

Il Regno di Dio è una forza che crea armonia nella storia; è una istanza presente dentro il mondo in varie forme e modalità, ma che è riconoscibile perché produce armonia o la favorisce, produce consolazione, riconciliazione. Crea pace, permette la convivenza dei diversi; solleva i feriti, cura gli afflitti, perdona i peccatori, favorisce la giustizia, la pace, la solidarietà. Ed è una istanza - dice il cardinale - che si fa strada innanzitutto attraverso la libertà degli uomini e delle donne che decidono di accoglierla. Il Regno di Dio è innanzitutto un evento interiore, che ha delle ricadute esteriori; ma innanzitutto interiore, una esperienza profonda di incontro con un tu che mi fa avvertire che la mia umanità è chiamata a realizzare quel disegno di bellezza, di armonia, di giustizia, di pace, di solidarietà, di comunione. E che ne sono responsabile con Lui di questo progetto; e me ne fa sentire il fascino, me ne fa sentire la corrispondenza profonda, me ne fa sentire la bellezza. Mi fa sentire quanto la mia vita trova un suo senso, un suo posto, collocata dentro quella forza che spinge verso la bellezza.

Allora il Regno di Dio è all'opera in tutti gli uomini e le donne che cercano questo: che rigettano i conflitti che superano le ingiustizie, che valorizzano l'altro, che rispettano la diversità, che non hanno paura di dedicarsi a chi hanno vicino, che provano fascino per l'umanità compiuta. Magari inconsapevolmente provano fascino per Gesù e il suo modo di dar compimento all'umanità.

Tutti semi questi che il Padre pone nell'animo di ogni uomo e di ogni donna al mondo; ogni uomo ogni donna senza confini senza limiti, perché il Padre è padre di tutti; fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. E mette i semi del suo regno nel cuore di ogni uomo e ogni donna”. E il cardinal Martini conclude la sua riflessione dicendo: “Il punto massimo di manifestazione di questa istanza di armonia e bellezza di riconciliazione è proprio la Pasqua. Il mistero della perfetta riconciliazione; dove si ricompone anche la contraddizione più tremenda quella della morte. Che Dio l'abbraccia e abbraccia l'umanità insieme ad essa.

 

Allora ascoltiamo queste parabole nel loro osare raccontarci e descriverci qualche cosa di questo modo del farsi presente della paternità buona di Dio.

E queste parabole che procedono a coppie: senape e lievito, tesoro e perla, raccontano aspetti diversi con caratteristiche precise.

 

 

Il granello di senapa e il lievito

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Cominciamo con la prima coppia: con questa immagine della senape e del lievito. Elementi così inconsueti per essere utilizzati nel descrivere l'agire di Dio . La senape non è una pianta nobile, come il cedro del Libano, non è certo l'ulivo. Non è un seme di una pianta che richiama una maestosità, la regalità, la forza, la bellezza. È una pianta dell'orto senza neanche troppo valore.

Il lievito era utilizzato invece per rappresentare qualcosa di non molto positivo, principio di contaminazione (guardatevi dal lievito dei farisei) . Qui viene usato con un'altra immagine, ma è inusuale che lo si utilizzi come esempio positivo; qui addirittura è utilizzato per rappresentare il modo di funzionare del Regno di Dio.

 

Uno degli elementi che più facilmente saltano all'occhio nella parabola del seme è l'assoluta marginalità del contributo umano. Nella prima parabola appare l'uomo ma poi sparisce . Il seme è gettato da un uomo, ma il focus del racconto non affatto su di lui. E nella seconda parabola c'è questa donna che nasconde il lievito nelle misure di farina, ma poi immediatamente sparisce. Non c'è nessun spazio per l'azione umana; non si parla i preparazione del terreno per la semina, non si parla di concime, della cura della crescita; non si parla di impastare la farina, del lavorarla, dell'agevolare la lievitazione. Sembra che qui l'uomo abbia un ruolo un po' marginale; non che non ci sia, ma certo marginale.

In tutte e due le parabole salta all'occhio l'ineluttabilità di ciò viene messo in atto. La prima parabola è assai rapida nel farci passare dalla semina alla pianta compiuta. Come se questa crescita fosse rapidissima improvvisa, come se nulla fosse capace di contrastarla di impedirne la crescita: appena seminata ed è già una pianta.

Salta all'occhio come ci sia una istanza alternativa che ribalta un po' gli ordini costituiti. Abbiamo già detto che la senape non è un seme nobile , nessuno si aspetterebbe che fosse utilizzato per descrivere l'agire di Dio. L'agire di Dio deve essere trionfale, possente spettacolare. E invece no: è alternativo.

Il Regno di Dio viene e avviene. È una forza capace di includere includere o di raccogliere: la pasta viene lievitata tutta; non c'è nulla di quell'elemento che non venga raggiunto, che non venga raccolto, che non venga contaminato da quel lievito. Non ci sono criteri di separazione, confini misure. Il lievito costringe alla trasformazione, costringe la pasta a diventare qualcosa di diverso, che da sola non sarebbe stata in grado di diventare. E fa tutto questo in una dimensione di estrema piccolezza, di discrezione quasi di invisibilità. Non può non risuonare il mistero del Sabato Santo in questo lievito o granello di senape. Come si fa a non vedere in quel corpo sepolto il germe dal quale nascerà una pianta capace di radunare moltitudini sotto la sua ombra? Come si fa a non vedere in quel sepolcro un grembo gravido dal quale sprigionerà un fermento che contaminerà l'umanità intera, senza distinzione? Come non vedere che in quel sepolcro è all'opera un principio che supera enormemente e infinitamente le capacità umane; che c'è all'opera una volontà di salvezza di comunione, di riconciliazione, di amore infinitamente al di là, anche solo della immaginazione umana?

E allora queste due parabole ci fanno intuire, insieme al Sabato Santo, che davvero il Regno di Dio passa certamente dalle mani e dei cuori degli uomini e delle donne che scelgono appunto la giustizia, la riconciliazione, la pace, l'amore, la solidarietà.

 

Ma a nessuno venga in mente che il Regno di Dio è tutto lì. Perché sarebbe una salvezza troppo umana, troppo terrena. Perché sarebbe una salvezza che finirebbe per sottometterci alle logiche del mondo; e finirebbe prima o poi di scendere a patti con i poteri mondani, con il modo di gestire il potere nel mondo.

E invece no. La senape e il lievito e il Sabato Santo ci raccontano che il Regno di Dio sta molto più in là di quel che noi sappiamo fare, per quanto buono e bello sia. E sebbene per quanto di buono e bello noi siamo in grado di realizzare sia anch'esso un segno del Regno di Dio, ma non lo esaurisce, questo è molto di più. Allora nessuno può arrogarsi il diritto di tenere tra le mani il Regno di Dio e reclamarne l'esclusiva, neanche la chiesa. E quando la chiesa pretende di avere in mano il Regno di Dio, quando i cristiani pretendono di avere l'esclusiva del Regno di Dio, fanno una operazione di rapimento, costringono il Regno di Dio a subire violenza, lo soffocano, fanno una operazione di potere esclusivamente mondano.

Invece quando i cristiani si riconoscono, pur mettendosi in gioco al 100%, nel collaborare all'opera di Dio, riconoscono poi che il compimento pieno, come quello del settimo giorno, è nelle mani di Dio, allora stanno cercando il Regno di Dio per ciò che è, non lo stanno creando con le loro mani, non stanno plasmando un idolo a loro immagine e somiglianza, ma stanno cercando e stanno permettendo al Regno di Dio di realizzarsi per come davvero è.

Avevano tentato i discepoli a far prendere al maestro un'altra strada, che non fosse quella di quel sepolcro, volevano impadronirsi di quel regno, assoggettarlo alle loro logiche ai loro desideri di grandezza; avrebbero voluto che quel Regno di Dio fosse un cedro del Libano.

È una tentazione che accompagna i discepoli di ogni tempo: sentirsi depositari del regno. Invece no, il discepolo del regno è colui che si accorge innanzitutto che il Regno di Dio è all'opera anche al di fuori di Lui. E allora ne va in cerca dei segni e ama riconoscerli e gode nel valorizzarli; anche se li vede e li trova in coloro che non condividono la sua strada e il suo percorso di vita, ma li sente fratelli lo stesso; perché sente la stessa logica di armonia, pace e giustizia.

Allora i cristiani che attraversano il Sabato Santo, sanno, proprio perché non possono impossessarsi di questo regno che non possono che essere umili, nell'essergli collaboratori, nel mettersi a disposizione . E sanno che non potranno costruire una immagine di sé e della propria comunità che sia trionfale, che sia potente. Ma sanno anche di non dover cercare le manifestazioni di Dio nella propria vita, come manifestazioni potenti e trionfanti. Ma ancor di più i discepoli del regno sanno che, se vorranno cercare davvero il Regno di Dio e trovarlo, non potranno fare altro che restare dentro quella pasta che il mondo rappresenta; non potranno che sentire la spinta di immergersi sempre di più dentro quella pasta a sentirsi pasta insieme alla pasta e non avere l'arroganza di sentirsi loro il lievito. Eh, poiché abbiamo il vangelo in mano siamo noi il lievito del mondo!?!. No, i discepoli del regno sanno anche loro di essere la pasta, come il resto del mondo; e sono chiamati anche loro insieme agli altri ad accogliere il lievito, il fermento che trasforma la loro vita, che la rende nuova, ricca, bella, compiuta, luminosa. I discepoli del regno sanno che il primo posto dove cercare Dio non è nelle 4 mura di una chiesa, ma nella realtà che li chiama, nella pasta nella quale sta, perché è li che il lievito del regno viene messo. E sanno che su quella grande pianta, che li accoglie anche loro, genti tra le genti, saranno chiamati a condividere quei rami di quel regno, a spartirlo con gli altri, a riconoscere la bellezza della varietà delle strade per incontrare Dio, anche in quelli che sembrano più distanti.

 

La ricerca del tesoro nel campo e l'acquisto della perla

E poi ci sono il tesoro e la perla. Siamo abituati a vedere queste come immagini dirette del regno. Eppure il testo ci manda in un altra direzione; non sembra dirci tanto che il tesoro e la perla sono il regno da trovare. Se ci mettessimo a fare una analisi stringente della sintassi di queste due parabole, saremmo costretti a riconoscere, per il modo in cui Matteo le ha riportate, che siamo invitati a guardare in un'altra prospettiva questo racconto. Matteo sembra dirci che non è tanto il tesoro il Regno di Dio, non è tanto la perla il regno, ma il Regno di Dio è “un uomo che trova un tesoro, vende tutto, acquista il campo, ed è gioioso”. “È un mercante che va in cerca di perle e trova la perla e vende tutto e acquista la perla ed è nella gioia“. Matteo ci dice che il Regno di Dio è questo procedimento di scoperta, vendita, acquisto. Dovremmo dire così: che viene descritto come un evento di innamoramento; come qualcuno che si trova di fronte ad uno spettacolo di una preziosità rara, per la quale vale la pena spendere qualsiasi cosa. E se queste parabole ci stanno parlando della paternità di Dio all'opera, non possiamo non riconoscere dentro questi due uomini che si fanno prendere da un trasporto incontenibile per il ben prezioso che hanno trovato, non possiamo non vedervi il trasporto della paternità di Dio per l'umanità. Il Sabato Santo ci racconta quale è la profondità del trasporto di Dio per questa nostra umanità. A quale profondità è arrivato il suo innamoramento per noi; a quale estremo è arrivata la sua volontà di dedizione per l'umanità. E Gesù che è salito in croce, a quale livello ha osato condurre ed estendere il suo amore. Quale dichiarazione più grande, intensa, più radicale c'è, di quel sepolcro il Sabato Santo.

Le due parabole ci raccontano che Dio Padre è un appassionato dell'umanità, che ad essa si dedica anima e corpo e che è disponibile a giocarsi il tutto per tutto. Allora è bello pensare che in tutte le dinamiche umane, che richiamano questa esperienza, questa modalità di essere, questa capacità appassionata e travolgente di dedizione all'altro, questo appassionarsi, questo innamorarsi, questo dedicarsi in tutte queste cose, c'è un tratto del Regno di Dio, c'è un po' di Regno di Dio che avviene. Allora c'è quell'uomo che si appassiona perché cresca la cultura politica autentica del suo paese, il servizio e ci dedica anima e corpo, cercando la giustizia vera, servendo il bene comune. Poi quell'altra che si appassiona magari del recupero delle donne sfruttate e ne fa una passione e una dedizione profonda. E quello che ha cura di un bene artistico, nel quale vede un arricchimento per l'umanità, una crescita di armonia, di bellezza. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Ma credo che nella storia di ognuno, nella vita di ciascuno, avvenga questo processo di innamoramento, di appassionamento radicale,che porta ad una dedizione totale.

E mi sembra di vedere quanto nelle situazioni in cui questo non accade, (perché ci sono delle difficoltà dei problemi, quando la vita non ha un principio così all'opera in qualche situazione in qualche circostanza), quanto sia sofferente quella esistenza. Quanto quella persona patisca di non avere un fuoco che brucia dentro. Forse è anche questo un tratto dell'immagine di Dio che portiamo dentro: questa capacità di dedicarci così spassionatamente all'altro.

E certo il Sabato Santo, insieme a questa parabola che racconta il regno, ci dice anche però un principio per ascoltare e rileggere tutte le circostanze e le occasioni nelle quali quel nostro appassionarci e dedicarci così intensamente a qualcosa a qualcuno, a un progetto, a una persona a un ideale, incontra però il fallimento; incontra il tradimento, la frattura, il rifiuto, la porta chiusa, l'assenza di frutti.

Il Sabato Santo, insieme alle parabole del tesoro e della perla, ci chiedono di guardare a quei giorni della nostra vita con uno sguardo differente, difficile, estremamente difficile; ma uno sguardo altrettanto estremamente evangelico: quello di chi sa che in quei giorni, quando ci accorgiamo che quel nostro appassionarci e dedicarci non è sufficiente, non arriva, non basta, fallisce, non riesce, c'è un compimento nascosto, che prende la nostra intenzione buona di dedizione totale e in qualche modo la conduce a compimento. Non sappiamo come, magari non vedremo mai quel modo, magari non lo intuiremo nemmeno. Ma il Sabato Santo insieme a queste parabole ci racconta che quei giorni, in cui le nostre passioni si infrangono. Sono i giorni in cui il compimento non è vero che non avviene. Possiamo pensare che il Padre lasci cadere la nostra dedizione così senza frutto? Possiamo pensare che il Padre, che è innamorato di questa umanità, che vi ha seminato il seme del suo regno, lasci cadere quella bellezza della nostra dedizione?

Certo magari il concreto sembrerà dirci altro, tanto quanto il sepolcro chiuso di Gesù sembrava dire tutt'altro. Ma in quel sepolcro il Padre era all'opera; e lo è anche in tanti piccoli o grandi sepolcri, nei quali magari tante piccole o grandi passioni e dedizioni può capitare che finiscano dentro a quelli.

Siamo dentro a questo Sabato Santo, sapendo che a queste domande che ci vengono di fronte a quel sepolcro chiuso.... “ma Signore qual'è la tua forza, qual'è la tua potenza, come si realizza il tuo tenere in mano il mondo?” Ecco queste domande hanno una risposta. Le parabola del regno che abbiamo ascoltato ci danno qualche slargo, qualche luce.

 

Siamo ancora nell'ordine della contemplazione; questa sarà una settimana più di contemplazione, che di ricerca della azione da compiere. Però quanto può essere consolante e inspirante anche solo un barlume di vera contemplazione!