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Saluto

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Preghiera iniziale dal profeta Isaia (62, 1-4. 11-12)
1 Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi darò pace,
finché non sorga come stella la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
2 Allora i popoli vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
ti si chiamerà con un nome nuovo
che la bocca del Signore indicherà.
3 Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
4 Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma tu sarai chiamata Mio compiacimento
e la tua terra, Sposata,
perché il Signore si compiacerà di te
e la tua terra avrà uno sposo.
11 Ecco ciò che il Signore fa sentire
all'estremità della terra:
«Dite alla figlia di Sion:
Ecco, arriva il tuo salvatore;
ecco, ha con sé la sua mercede,
la sua ricompensa è davanti a lui.
12 Li chiameranno popolo santo,
redenti del Signore.
E tu sarai chiamata Ricercata,
Città non abbandonata».

Dal Vangelo di Matteo


Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi,
il Signore Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito
troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi
dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora
questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia
di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da
soma». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e
il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i

propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla stra-
da. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Be-
nedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». (Mt 21, 1-9)

L’ordine ai discepoli
Arrivare a Gerusalemme dalla lettura dell’intero Vangelo e, in particolare, da quella del cap. 20 in

cui è contenuto il terzo annuncio della Passione, non è un arrivo come gli altri. La città è già stata in-
trodotta da Matteo come il luogo del rifiuto, dello scontro, della morte e resurrezione.

Quel che Gesù si trova di fronte non è solo una città, ma la conclusione del suo cammino di vita
terrena, il compimento del suo destino, la realizzazione del disegno di salvezza del Padre suo.

Vi arriva da Betfage e dal Monte degli Ulivi che sta a oriente di Gerusalemme, luogo da cui, se-
condo Zaccaria, sarebbe giunto il Signore nel giorno della sua venuta.

Da qui, Gesù sembra assumere il controllo degli eventi, poiché quel che segue avviene per suo or-
dine. Sembra anche conoscere in anticipo e in modo straordinario quel che verrà poi, dando disposi-
zioni di conseguenza.

Prevede perfino un obiezione del padrone del animali alla quale dà mandato di rispondere facendo
leva su due elementi: il titolo che si attribuisce e la promessa che segue la richiesta.
Lo schema ordine-esecuzione, tipicamente biblico, mette in evidenza Gesù come colui che entra
dentro i giorni della sua Passione non come chi è in balia degli eventi, ma come chi sta governando la
regia della storia della salvezza.

Colui che chiede in prestito le due cavalcature è il kyrios, il Signore che dominerà un giorno il cie-
lo e la terra (cfr. 28, 18 «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra...») e che sembra poter di-
sporre dei beni altrui come fa un re con i propri sudditi.

In effetti, Gesù manifesterà la sua sovranità ma questa apparirà con caratteristiche inaudite e che
già sono anticipate nella promessa di restituzione delle due bestie da soma.

La citazione biblica
Lo schema ordine-esecuzione è interrotto dalla citazione di compimento di cui Matteo non precisa
la provenienza ma che sappiamo essere la fusione di due versetti provenienti da due diversi profeti: Is
62, 11 (l’invito ad annunciare a Gerusalemme - figlia di Sion - la venuta del Messia) e Zc 9, 9
(l’annuncio vero e proprio dell’arrivo del Signore).
La parola chiave della citazione che diviene fondamentale nell’interpretazione dell’episodio è il
termine praus, aggettivo dalle varie sfumature che significa fondamentalmente «benevolo, mansueto,
gentile» e che troviamo qui tradotto con «mite».

La scelta di Matteo è molto precisa e di indiscutibile chiarezza: lo stile del Messia atteso è non vi-
olento e pacifico. L’espressione non deve far pensare a un sinonimo di debolezza intesa come inconsi-
stenza, incapacità di “governare”, mancanza determinante di forza. Piuttosto nell’uso adeguato della

forza, nel rifiuto dell’abuso del potere, nella scelta di orientare, anzi, sottomettere la propria potenza al
bene e al servizio dell’altro.
La tipologia della cavalcatura scelta ha sostanzialmente la funzione di evidenziare questo carattere
del re che viene. Non sceglie il cavallo che, a quel tempo, era considerato a tutti gli effetti una “mac-

china da guerra”, non sceglie la mula che era cavalcatura regale, sceglie una bestia da soma, un ani-
male da lavoro che era diffuso nell’ordinario utilizzo della gente.

Risuona immediatamente Mt 11, 29: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi
darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»; come anche la

beatitudine della mitezza, quella di chi ha in dote il “governo” della terra poiché condivide lo stile di-
vino.

Gesù manifesta la sovranità del Padre, il Regno di Dio presente, che ha la caratteristica di dare vi-
ta non di toglierla, di dare respiro non di soffocare, di sollevare pesi non di imporli. Soprattutto si ma-
nifesta come forza dolce e discreta eppure tenace, dal carattere non straordinario ma feriale, familiare

e confidente, niente affatto dominante.

L’esecuzione dell'ordine
Matteo preferisce sottolineare l’obbedienza dei discepoli piuttosto che il preciso realizzarsi delle
parole di Gesù.

Portano a Gesù le due cavalcature, le coprono con i mantelli perché Gesù vi monti sopra. Il parti-
colare della doppia cavalcatura rende difficile la lettura della scena. Come può essere salito su en-
trambi?

Ma Matteo è scrittore dai dettagli poco affidabili e non val la pena tentare di immaginarsi la sce-
na, bensì cogliere la valenza evangelica del gesto profetico che Gesù compie.

Non si tratta di una “marcia su Gerusalemme” alla conquista del regno perduto, nemmeno della
parata trionfale in cui far sfoggio delle proprie forze. Non si sono apparati, strutture, autorità schierate.
È l’esatto opposto di una parata militare, figuriamoci di una campagna... Almeno nelle intenzioni di
Gesù, per come l’evangelista le tratteggia.
D’altra parte, costui che viene è il Re.

La reazione della folla.
La folla è straripante e festante, facendo così da contraltare alla città, alla quale porta l’annuncio
dell’ingresso del Figlio di Davide. Gerusalemme rappresenta ormai il rifiuto e la chiusura alla Parola
di Dio, il luogo dell’Israele testardo, il teatro della morte del Messia.

La gente rende omaggio a Gesù riconoscendone la nobiltà con il gesto eloquente di stendere man-
telli sulla strada. Così si faceva per rendere onore al re di passaggio evitandogli di dover mettere i pie-
di a terra e anche qui Matteo rende poco immaginabile la scena dal punto di vista della verosimiglian-
za: possibile immaginare tutto il tragitto coperto di vesti? E se già cavalcava l’asino che bisogno ave-
va di non poggiare i piedi a terra?

In ogni caso, l’obiettivo della scena è ricordare le manifestazioni di gioia che accompagnavano il

re al suo ingresso in città. Anche il gesto di deporre fronde a terra o lanciare fiori al passaggio era abi-
tudine consueta e diffusa in occasione della visita di sovrani o nobili.

Le folle gridano acclamazioni e canti di giubilo al Figlio di David, intonando l’«Osanna» (lette-
ralmente «Aiuta!», ma l’uso cristiano ne fece presto un grido di salvezza) e lo salutano con

l’espressione che i sacerdoti rivolgevano ai pellegrini sulla porta del Tempio, presa dal Salmo 117.
Nella sostanza riconoscono a Gesù un ingresso da Messia, intendendolo però, ovviamente, secondo la

concezione messianica tradizionale, cioè come colui che avrebbe ristabilito il regno di Israele portan-
do un’epoca di prosperità e pace.

Matteo però ha già descritto un altro volto del Messia e i lettori ne sono consapevoli, non potendo
esimersi dal riconoscere che si tratta di tutt’altro: Gesù si è dedicato a curare gli infermi, ad assistere i
poveri, a perdonare i peccatori, ad ammaestrare il popolo sbandato e senza guida.
Il suo ingresso come Messia è una provocazione.


Preghiera conclusiva


Ti chiediamo, Signore Gesù,
di guidarci in questo cammino
verso Gerusalemme e verso la Pasqua.
Ciascuno di noi intuisce che tu,
andando in questo modo a Gerusalemme,
porti in te un grande mistero,
che svela il senso della nostra vita,
delle nostre fatiche e della nostra morte,
ma insieme il senso della nostra gioia
e il significato del nostro cammino umano.
Donaci di verificare sui tuoi passi
i nostri passi di ogni giorno.
Concedici di capire, come tu ci hai accolto con amore,
fino a morire per noi.
Solo allora potremo vivere nel tuo mistero pasquale,
andando per le strade del mondo
non più come viandanti
senza luce e senza speranza,
ma come uomini e donne
liberati della libertà dei figli di Dio.