Domenica di Pentecoste
‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’
Dal Vangelo secondo Giovanni 14,15-16.23-26
«15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre»,
23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Commento
Ci dice il libro degli Atti degli Apostoli ‘furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro potere di esprimersi’.
I giudei osservanti di Gerusalemme, che venivano da diverse parti per la Pasqua, percepiscono, ciascuno nella loro lingua, questo racconto, questo porsi nella storia.
Lo Spirito dà loro potere di esprimersi…
E’ quello che fa con ciascuno di noi. Lo Spirito ci aiuta a rivolgerci nei confronti dei fratelli, da ogni parte essi arrivino, con un unico linguaggio comprensibile da tutti.
E’ la lingua dell’interiorità, dell’essenzialità, dell’essere persone create, grate nei confronti della vita per i doni ricevuti.
E’ la lingua della carità, della misericordia, che si fa ascolto, accoglienza, condivisione, fraternità.
La si può raccontare in tanti modi, la si può tradurre in tanti atteggiamenti, ma è una lingua comprensibile: quella di una mano che si tende, di un sorriso che accoglie, di uno sguardo benevolo, di un ascolto complice, che entra in profondità in quello che l’altro ci dice, che non ascolta con superficialità.
Lo Spirito dà potere di esprimersi in questa lingua, sostiene tutte le volte che ciascuno di noi vuole parlare questa lingua, la alimenta.
I discepoli percepiscono che al di là della morte e risurrezione di Gesù c’è qualcosa che accomuna ed è dono per tutta l’umanità.
E’ appunto lo Spirito, che ci permette di stare davanti alle prove della vita, non sentendoci estranei l’uno nei confronti dell’altro.
La tua storia mi appartiene, la tua fatica, i tuoi passi, la tua fame e sete di giustizia, il tuo desiderio di vita mi appartiene, non mi sei estraneo… è una lingua che accomuna, che fa cercare innanzitutto il bene che unifica e non fa sottolineare le differenze che separano, che non fa evidenziare le fragilità l’uno dell’altro, ma fa ritrovare i doni, la radice da cui insieme siamo nati all’esistenza.
Lo Spirito aiuta questi uomini ad uscire dal loro Cenacolo dove si sono rinchiusi per paura, sostiene quei passi che, nel nome di Gesù, cercano di fare nei confronti di ogni fratello.
Questa lingua è compresa da tutti.
Qual è la lingua che noi stiamo parlando?
Dovremmo chiedercelo tutte le volte che, nella comunicazione con una persona, tutte le volte che nello sguardo nei confronti di un fratello, di una sorella, non troviamo passi di comunione, punti di incontro… dovremmo chiederci ma che cosa stiamo pronunciando con la nostra esistenza, quale percorso, quale storia stiamo raccontando?
Non ci possono essere passi che allontanano un fratello da un fratello, a meno che non siano passi detti in un’altra lingua rispetto a quella dello Spirito, quella dell’io, di chi sottolinea se stesso o il per sé.
Allora quello sì è un linguaggio che, inevitabilmente, se sottolineiamo solo il nostro io, gli altri non possono parlare, perché presentiamo solo la nostra particolarità e gli altri non riescono ad abitarla, a volte nemmeno a comprenderla.
Quando con la preghiera, unico linguaggio dello Spirito, andiamo a questa profondità e riusciamo a percepire che cosa l’altro ci sta dicendo, che cosa ci sta consegnando del suo vissuto e della sua storia.
Questi uomini, mossi dallo Spirito, sono entrati in sintonia con la storia di quei giudei che erano a Gerusalemme per la festa.
Non importa il linguaggio esteriore, sono riusciti a stabilire un linguaggio di comunione, può anche essere diversa la pronuncia, come è diversa l’espressione della carità per ciascuno di noi, il modo di starci vicini e di prenderci cura gli uni degli altri, proprio a partire dalle nostre caratteristiche.
Ma una sola è la realtà che ci accomuna…è quella che Gesù sottolinea nel Vangelo ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’.
Dov’è la nostra dimora?
Noi non siamo gente senza fissa dimora, che non sa a chi appartiene.
La nostra dimora è nella comunione profonda con il Padre, con il Figlio, per mezzo dello Spirito.
Qui noi possiamo dimorare, questo è ciò che poco per volta abitando nello Spirito con il Padre e con Gesù noi impariamo.
Qual è il nostro abito, quali sono le abitudini che indossiamo?
Apprendiamo abitudini, un linguaggio che ci fa entrare in sintonia con i fratelli, perché è il linguaggio dello Spirito, come un habitus che possiamo indossare.
Se da una parte ci viene da chiederci quel è il nostro linguaggio con cui entriamo in sintonia nei confronti della storia, dall’altro dovremmo chiederci se lo Spirito sta scrivendo dentro di noi delle abitudini a discernere le cose, a guardarle, a stare nei problemi della vita come il Padre, come Gesù Cristo, con la stessa misericordia, con lo stesso gusto.
Sono quelle delle nostre difese oppure la vita poco per volta, perché dimoriamo nello Spirito, ci sta portando ad alzare lo sguardo, a misurare non solo su noi stessi, su quello che capiamo, su quello che vogliamo fare, su dove vogliamo arrivare, ma ci porta ad alzare lo sguardo e a misurare quello che ci capita sulla storia di Gesù Cristo, sul Vangelo.
Questa è un’abitudine straordinaria, che solo la preghiera riesce a farci raggiungere, proprio perché impariamo a dimorare con Lui, ad averlo di casa.
Aiutaci, Signore, a celebrare la festa dello Spirito così, perché impariamo ad esprimerci in una lingua che accomuna invece che dividere ed impariamo poco per volta a mostrare ai fratelli l’abito straordinario della condivisione, che nasce dall’unico Vangelo.
Tutte le volte che la vita ci divide abbiamo bisogno di piegare il ginocchio ed invocare lo Spirito perché solo attraverso di Lui riusciamo a riscrivere ancora nella nostra storia pagine di unità.
Preghiera
Spirito di Dio,
vieni ad aprire sull’infinito
le porte del nostro spirito e del nostro cuore.
Aprile definitivamente
e non permettere che noi tentiamo di richiuderle.
Aprile al mistero di Dio
e all’immensità dell’universo.
Apri il nostro intelletto agli stupendi orizzonti della Divina Sapienza.
Apri il nostro modo di pensare
perché sia pronto ad accogliere i molteplici punti di vista diversi dai nostri.
Apri la nostra simpatia
alla diversità dei temperamenti
e delle personalità che ci circondano.
Apri il nostro affetto
a tutti quelli che sono privi di amore,
a quanti chiedono conforto.
Apri la nostra carità
ai problemi del mondo,
a tutti i bisogni della umanità.