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QUARTO GIORNO - GIOVEDI' SANTO

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Saluto


Preghiera iniziale dal salmo 40
2 Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
3 Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
4 Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.
5 Io ho detto: «Pietà di me, Signore;
risanami, contro di te ho peccato».
8 Contro di me sussurrano insieme i miei nemici,
contro di me pensano il male:
9 «Un morbo maligno su di lui si è abbattuto,
da dove si è steso non potrà rialzarsi».
10 Anche l'amico in cui confidavo,
anche lui, che mangiava il mio pane,
alza contro di me il suo calcagno.
11 Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami.

Dal Vangelo di Giovanni

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al
Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano,
quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù
sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,si
alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò
dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di
cui si era cinto.Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".
Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon
Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me".
Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.Soggiunse Gesù:
"Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi,
ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi”.Quando
dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi
ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e
il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato
infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo
non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo
queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.

La vita pubblica di Gesù è terminata; qui lo vediamo nascosto agli occhi di chi non l'hanno accolto
che lo rivedrà solo dopo l'arresto. Il popolo, nell'insieme, non ha creduto alla sua parola, ma un
piccolo gruppo si è legato a Gesù, coloro che "il Padre gli ha dato", quelli che hanno creduto in Lui.
A costoro Gesù fa dono del proprio testamento, prima di salire al Padre.
Nell'imminenza delle feste pasquali Gesù condivide una cena (che per Giovanni, però, non è quella
di Pasqua) durante la quale, attraverso un lungo e complesso discorso d'addio, introduce i suoi al
senso di ciò che sta per compiersi in Lui e che sarà raccontato nei capitoli successivi alla cena.
Nel consegnare i suoi ultimi pensieri, Gesù fonda la Comunità dei suoi discepoli, coloro che
credono in Lui e nella sua missione. Il gesto della Lavanda dei piedi - che commentiamo - precede i
discorsi d'addio e stabilisce il criterio fondamentale che deve regolare la comunità di coloro che
seguono la sua parola.
L’allontanarsi del traditore al termine del gesto della Lavanda è parte integrante di questa
fondazione del gruppo dei discepoli che, significativamente, nasce con una spaccatura.
Il capitolo 13 inizia con una frase maestosa che occupa i primi quattro versetti e che, con il suo
carattere solenne e imponente, costituisce il portale d'ingresso dei grandi discorsi che seguono e dei
fatti che ne compiranno il senso. In maniera particolare, il primo versetto si distacca dai seguenti,
legati alla circostanza della cena, reclamando il ruolo di vero e proprio "punto prospettico" e
mettendo gli eventi pasquali interamente sotto la luce del ritorno di Gesù al Padre e dell'amore
estremo di Gesù per i suoi.
Nel primo versetto ci sono due notazioni cronologiche: una ”esterna” e una ”interna” alla vicenda di
Gesù.
La prima è il riferimento alla Pasqua, con tutta la portata teologica, storica e simbolica che porta
con sé; la seconda è “l‘Ora” di Gesù, espressione tipica di Giovanni per indicare la sua
glorificazione che qui viene declinata come passaggio dal mondo al Padre.
Di questa seconda circostanza temporale Gesù sembra avere piena e perfetta consapevolezza, da
non intendersi come semplice conoscenza ma come un passaggio che egli” comprende” (prende
dentro di sé, abbraccia, integra...) a partire dal proprio rapporto con il Padre. Una comprensione
”teologica” che dà dunque al dramma che sta per compiersi un‘intensità e uno spessore salvifico
unici e che interpreta la morte di Gesù come ”ritorno”.
C’è una terza notazione che descrive l‘orizzonte dentro il quale ciò che sta per accadere è già stato
collocato: l‘amore di Gesù per i suoi. Questi ultimi, sono certo da intendersi come tutti i destinatari
della rivelazione, ma in modo particolare come coloro che hanno accolto la sua Parola e
costituiscono l‘insieme del suo gregge.
Determinante è però che il ministero del Maestro venga ricapitolato in un‘opera d‘amore che ora
viene portata al suo estremo. Ciò non è da intendersi solo in termini quantitativi - Gesù ama fino a
dare la vita - ma anzitutto in termini qualitativi: Gesù mette definitivamente a parte i suoi della
qualità più alta dell‘amore, lo stesso con cui il Padre ama Lui e ama il mondo inviandovi il Figlio.
C’è una seconda introduzione, dopo quella solenne del primo versetto, che introduce gli attori
principali della cena: Gesù e l‘Avversario. Non si tratta della cena di Pasqua, dunque il senso del
pasto va colto dentro i significati tipici complessivi della cultura semitica: un‘occasione non solo di
condivisione di cibo ma soprattutto di pensieri e sentimenti, una convivialità profonda di carattere
sociale e spirituale il cui obiettivo ultimo era creare un‘intima comunione tra i presenti. E ‘da
ricordare che il pasto era frequentemente il contesto delle grandi alleanze, come quelle tra isacco e
Abimelek, Giacobbe e Labano, Jahvè stesso con Mosè e gli anziani di Israele.
In un simile contesto, la presenza di un traditore è ancor più intollerabile. Per Giovanni però c’è in
gioco ben di più che un semplice tradimento, c’è all‘opera il diavolo - il ”divisore” - di cui Giuda è
strumento.

Ora che lo sfondo è stato predisposto, l‘azione può incominciare.
Il gesto del lavare i piedi era usuale nell‘antico vicino oriente e metteva in gioco diversi valori e
significati, a seconda di chi lo svolgeva e di quando veniva fatto: accoglienza e ospitalità, inferiorità
di condizione sociale, espressione di affetto, ma anche pratica igienica e abluzione rituale. Il fatto
che Gesù lo compia durante il pasto - cioè fuori tempo e fuori luogo - indicano che l‘obiettivo del
gesto è singolare: sta comunicando qualcosa, evidentemente l’inversione dei ruoli: lui si mette sotto
i discepoli.
La simbolicità dell‘azione mantiene però una sua enigmaticità che i discepoli non decodificano
immediatamente, richiedendo la spiegazione da parte di Gesù.
C’è distanza tra il discepolo - tra tutti i discepoli - e il Maestro, il quale tenta ripetutamente di
colmare il distacco dapprima rassicurando, poi annunciando un senso recondito, infine dichiarando
che quel gesto è la via della piena e perfetta comunione con lui.
Il desiderio di appartenere al Maestro smuove Pietro il quale cade però nel malinteso di considerare
la lavanda al pari di un ulteriore rito di purificazione. Ma non si tratta evidentemente del senso
autentico. Le azioni di Gesù sono sotto la doppia luce del tradimento e del ritorno al Padre: la
lavanda dei piedi traduce dunque plasticamente un atteggiamento di servizio senza riserve, che sarà
comprensibile solo a partire dalla Pasqua e che è indispensabile perché il discepolo divenga
partecipe della stessa vita del Maestro.
Lavare i piedi ai Dodici anticipa il dono di sé sulla Croce e la sfumatura di ospitalità indica che quel
dono di sé è partecipazione ai suoi della Sua dimora autentica, la relazione con il Padre.
Compiuto il gesto, Gesù ordina ai discepoli di seguire il suo esempio, espressione che nell‘originale
greco contiene un senso teologico di rivelazione. Il Padre mostra al Figlio ciò che fa, come Gesù
mostra ai discepoli la sua opera. Il Figlio è generato dal vedere le opere del Padre, come i discepoli
sono generati dal contemplare il gesto di Gesù. Potremmo tradurre: ”Agendo così vi dono di agire
allo stesso modo”.
Ciò di cui si parla, lo ribadiamo, è un servizio reciproco senza riserve.
Il discepolo deve passare allora alle vie di fatto e ciò è la porta di ingresso della beatitudine
evangelica, a condizione che tutto nasca dall‘accoglienza interiore della rivelazione manifestata nei
gesti del Maestro.

Preghiera conclusiva


Signore Gesù,
tu hai scelto di essere un Dio inginocchiato
davanti alla tua creatura nel gesto della lavanda dei piedi,
aiutaci a comprendere la potenza trasformante
che scaturisce da questa tua tenerezza.
Avvolti e condotti dalla dolcezza di questo tuo amore,
insegnaci a incontrare, a sorprendere ogni persona,
tanto da ingenerare in lui il "dubbio"
di essere qualcuno a cui voler bene,
di essersi lasciato voler bene.
Spirito dell'amore,
donaci di diventate tessitori sapienti e pazienti di incontri,
servi senza pretese, amanti del tempo che Dio dedica a ciascuno,
e del tempo che ciascuno prende per muoversi

e tornare incontro al Padre.
E quando i fratelli, Signore,
diventati "grandi" prenderanno congedo da noi,
incamminandosi ognuno per la propria strada,
proprio allora noi, sapremo di aver contribuito
alla possibilità di raggiungere