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Terzo Giorno - Venerdì Santo

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Saluto
Preghiera iniziale dal salmo 21 (22)
2 «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
3 Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.
4 Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5 In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6 a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.
10 Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11 Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.

Dal Vangelo di Luca

32Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.33Quando
giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.
34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo
le sue vesti, le tirarono a sorte.35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo:
"Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". 36Anche i soldati lo deridevano,
gli si accostavano per porgergli dell'aceto 37e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva
te stesso". 38Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei". 39Uno dei malfattori
appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". 40L'altro invece
lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?
41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece
non ha fatto nulla di male". 42E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno".
43Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso". (Lc 23, 32-43)
32Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.
Luca prepara il terreno alla crocifissione e al dialogo che avverrà sul Calvario, consentendo anche
di vedere compiuta la profezia per cui Gesù sarebbe stato annoverato tra i fuorilegge («Perché io vi
dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra gli empi. Infatti tutto
quello che mi riguarda volge al suo compimento» Lc 22, 37 citando Is 53, 12).
Non si tratta di due «ladri» o «briganti» (λῃστής), termine applicato ai ribelli ostili alla dominazione
romana, bensì di «malfattori» (κακούργους) letteralmente «coloro che operano il male, che lavorano
per il male».
Colpisce che Luca parli di «altri due malfattori», attribuendo indirettamente Gesù alla stessa categoria.
Egli, pur innocente, viene incluso nella risma dei criminali.
Già lo pseudo processo davanti a Pilato aveva sottolineato con grande forza, proprio per le parole
del procuratore romano, l’innocenza del Cristo e l’assenza di qualsiasi elemento che lo accomunasse a
un criminale.
Nonostante la radicale distanza, Egli diviene uno di loro, fino a condividerne la sorte.
Se l’innocente perisce insieme al malvagio, allora è il fallimento e la negazione anzitutto della
giustizia umana, incapace di distinguere il giusto dall’empio e in definitiva incapace di “salvare”, ma
apparentemente anche di quella divina, se guardata come proiezione del giudizio umano.
Se però quell’innocente è il Figlio di Dio, nella sua morte ingiusta c’è il seme dell’annuncio di
un’altra Giustizia che supera quella umana e che è molto di più del semplice stabilire il diritto
dell’innocente, e che tantomeno ha come relativa conclusione l’immediato annientamento dell’empio.
33Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra
e l'altro a sinistra.
Il nome deriva dalla forma della collina che ricordava una testa.
Stavolta Luca non parla più di tre malfattori, ma di due più Gesù. Sono disposti al suo fianco e la
loro posizione ci induce a distinguerli subito in uno buono e uno cattivo, essendo già al tempo di Luca
la destra e la sinistra connotate l’una positivamente e l’altra negativamente (cfr. parabola del giudizio
di Mt).
La scena è rapidissima e l’evangelista ci fa correre via dai gesti cruenti del rituale, proiettandoci
immediatamente sulle parole del dialogo che viene sulla croce e attorno ad essa.
È da notare l’eleganza del racconto che non contiene alcuna morbosa insistenza sui dettagli della
tortura, sui temi del dolore, dell’eroica sopportazione che così tanto frequentemente riempiono le riflessioni
attorno al supplizio di Gesù sul patibolo.
Non era necessario, poiché a quel tempo era cosa ben nota la morte per crocifissione. Però è certamente
da cogliere il fatto che Luca spinge la riflessione e l’attenzione in tutt’altra direzione che è
bene raccogliere e rispettare.
34Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le
sue vesti, le tirarono a sorte.
La frase ha fatto a lungo discutere gli esegeti circa la sua autenticità, portando molti a considerarla
un inserimento successivo poiché in parecchi manoscritti non la si trova presente.
È da considerarsi invece un vero e proprio tratto lucano, un ricamo nel quale si riconosce la mano
dell’evangelista e la sua teologia: il perdono dei peccati come offerta di salvezza; la misericordia del
Padre verso ciò che è perduto; l’amore per il nemico; il tema dell’ignoranza dei Giudei.
Gesù «continuava a dire», come una litania ripetuta senza sosta. Non è l’esclamazione di un momento,
ma l’emergere di un atteggiamento interiore stabile che Gesù ripropone senza sosta. È un habitus
vero e proprio.
Nella preghiera al Padre invocato come nel Padre nostro, scusa i suoi aguzzini con l’ignoranza.
Dice di loro che non sono consapevoli, non vedono le azioni che stanno compiendo, sono in qualche
modo accecati e incapaci di rendersi conto della portata delle loro azioni.
La divisione delle vesti richiama biblicamente l’immagine del giusto sofferente del Sal 21(22). Lo
scandaloso, l’inguardabile e l’inconcepibile sono inseriti dentro il disegno di Dio, o meglio, ne sono
riconosciuti come parte integrante.
Il Signore è un crocifisso e in quel crocefisso c’è l’immagine di Dio. Non è scontato ripeterselo!
35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se
stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per
porgergli dell'aceto 37e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". 38Sopra di lui c'era
anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei".
Il popolo viene riabilitato. Solo per un attimo sembra avere ceduto, durante la comparizione davanti
a Pilato. Lungo il cammino verso il Calvario non ha espresso alcuna ostilità e ora assiste
all’esecuzione della condanna, in silenzio.
Luca attribuisce al popolo due azioni - «resta» e «osserva» - con sfumature particolari. La prima
indica un rimanere stabile e perseverante davanti al Crocefisso, un permanere con determinazione e
senza rassegnazione. La seconda invece suggerisce l’idea della contemplazione, cioè uno sguardo rivolto
a Gesù carico di riflessione e concentrazione tesa a cogliere il senso dell’evento.
Gesù era già stato accusato di essere un falso profeta (22, 63-65), ora viene attaccato come usurpatore
del titolo di Messia. Per tre volte viene insultato e schernito in modo aggressivo e violento (così
il tono dei verbi originali) a partire dalla sua pretesa di essere il Cristo di Dio.
Non è difficile riascoltare la voce di Satana nelle tre tentazioni, pur senza insistere troppo sul parallelo.
Là veniva messa in discussione la sua identità di Figlio e veniva direttamente attaccato il rapporto
con il Padre: «Se sei Figlio…». Qui viene provocato più sulla missione, sul suo essere salvatore
del popolo, sul manifestarsi come Re Liberatore, l’Unto di Dio e soprattutto sul modo in cui ha pensato
di incarnare tutto ciò.
Nel deserto aveva risposto con la Scrittura, qui lo fa in altro modo: stando simbolicamente tra due
malfattori, non reagendo alle provocazioni, domandando pietà per loro, donando il paradiso al ladro
pentito.
Il tema dell’essere il Cristo/Re emerge con forza dalle accuse e anche dal ”titulus crucis”. Val la
pena confrontare l’idea che ne hanno capi e soldati con quella che ne ha Gesù.
I capi riconoscono che ha salvato altri. Paradossale prova che viene ucciso avendo fatto del bene.
Davvero in lui si era visto in modo tangibile e concreto un principio di salvezza all’opera: il Regno dei
Cieli (la paternità amorosa e salvifica di Dio) era passato attraverso le sue mani.
Gli chiedono come segno dimostrativo il gesto di salvare se stesso. L’uso per scopi personali della
propria potenza sarebbe una dimostrazione di provenienza divina. Saper preservare da sé la propria vita
sarebbe un tratto dell’agire messianico. Che immagine di Dio descrivono in questo modo? In quale
Dio credono?
I soldati lo provocano sulla regalità, della qual hanno un’idea precisa: un re non si fa sconfiggere,
il re deve avere salva la vita, un vero re è quello che sconfigge il nemico e mette la propria potenza al
servizio dell’aumento del suo dominio e della sua autorevolezza.
Gesù non risponde, si comporta da sordo, come a dire che quello è un linguaggio che non intende,
sul piano del quale non vuole nemmeno scendere. La sua modalità di essere il Cristo/re è radicalmente
opposta, anzi, totalmente altra rispetto a ciò che hanno in mente.
Il suo non è un dominio, ma un servizio reso. Il suo potere non prende mai la forma di una prevaricazione.
Quando egli agisce, libera per lasciare liberi. La sua sovranità è farsi carico della vita
dell’altro e non gravarlo della propria. La sua posizione non è un titolo di nobiltà che lo distingue e
separa dagli uomini, garantendo privilegi e trattamenti riservati. La massima espressione della sua forza
coincide con la rinuncia a curarsi di sé.
Gesù per primo dà concretezza al suo insegnamento: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà;
ma chi perderà la propria vita la salverà» (9, 24)
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e
noi!". 40L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato
alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato
per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male".
Nella solitudine in cui Gesù sta combattendo la sua battaglia si leva una voce che riconosce
l’ingiustizia.
È la voce di un malfattore. Da un uomo apparentemente lontano da Dio si sentono parole di rispetto,
di pietà, di timor di Dio, di giustizia e poi di fede.
Facciamo attenzione a non manipolare il ladro pentito per giustificare un’apologetica violenta, arrogante
e spocchiosa, quella che ha la pretesa superba di voler difendere Dio. Dio non ha bisogno di
essere difeso e la Croce è l’annuncio sommo che la sua forza agli occhi degli uomini è una debolezza
estrema.
Quello del malfattore pentito è un richiamo a cogliere l’opportunità della salvezza, non la minaccia
di un’ulteriore condanna. Parte dalla constatazione della comune miseria e colpevolezza. Egli crea
come uno sfondo scuro su cui la luce dell’innocenza di Gesù possa risplendere.
Le sue parole sono indiscutibilmente di pentimento e di conversione. Riconosce il male compiuto,
afferma di meritare castigo, vede l’innocenza di Gesù. Verrebbe da obiettare sulla visione meramente
“retributiva” che sembra avere rispetto alla giustizia, ma la preghiera che segue afferma una fede nella
Misericordia che rompe ogni visione contabile di Dio.
42E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità
io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".
Il malfattore «ripeteva in continuazione», dice il testo. È una richiesta insistente e insistita, prodotta
senza sosta. È una domanda sfacciata e impertinente. È una pretesa senza logica e apparentemente
senza buon senso.
Risuonano qui: la parabola dell’amico importuno, della vedova e del giudice, degli operai
dell’ultima ora, l’episodio della donna che profuma i piedi a Gesù, il cieco di Gerico, Zaccheo.
È uno dei rari personaggio che chiamano Gesù per nome, come i lebbrosi, gli indemoniati, il cieco.
Sono i maledetti da Dio a osare l’intimità. Domanda di essere ricordato, chiede cioè quell’azione
forte di Dio che corrisponde alla salvezza. Quando Dio si ricorda del popolo è per salvarlo.
Non c’è forse anche in questo un compimento delle profezie? «”Coraggio, non temete! Ecco il
vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi
dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di
gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La
terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d'acqua.» (Is 35, 4-7) Non è forse il compiersi
di ciò che Gesù aveva preannunciato a Nazaret all’inizio del suo cammino?
Coloro che credono di vedere sono ciechi e ai ciechi sono aperti gli occhi. I peccatori passano avanti
del Regno di Dio, perché “vedono” il Padre e la sua Misericordia.
Parla anch’egli di regalità, certo riconoscendo a Gesù la dignità messianica, pur essendo consapevole
che il potere di Gesù non lo risparmierà dalla morte. Spera e chiede un futuro di salvezza, sapendo
che «oggi» è il tempo della morte.
La risposta di Gesù invece ribalta l’idea: quell’«oggi» è già il momento della salvezza. «Essere
con» è il modo con cui tutto ciò si concretizza per il malfattore. C’è un richiamo al «Dio con noi»,
presente per il suo popolo e che dimostra la sua fedeltà con la permanenza costante.

Preghiera Conclusiva

O Signore Gesù, Figlio di Dio, vittima innocente del nostro riscatto,
dinanzi al tuo vessillo regale, al tuo mistero di morte e di gloria,
dinanzi al tuo patibolo, ci inginocchiamo, con vergogna e speranzosi,
e ti chiediamo di lavarci nel lavacro del sangue e dell'acqua
che uscirono dal tuo Cuore squarciato;
di perdonare i nostri peccati e le nostre colpe;
Ti chiediamo di ricordarti dei nostri fratelli stroncati dalla violenza,
dall'indifferenza e dalla guerra;
Ti chiediamo di spezzare le catene
che ci tengono prigionieri nel nostro egoismo,
nella nostra cecità superba e nella vanità dei nostri calcoli mondani.
O Cristo, ti chiediamo di insegnarci a non vergognarci mai della tua Croce,
a non strumentalizzarla ma di adorarla,
perché con essa Tu ci hai manifestato la miseria dei nostri peccati,
e la grandezza del tuo amore, l'ingiustizia dei nostri giudizi
e la potenza della tua misericordia.
Amen